03 Apr Mario Bonanno e il suo ultimo libro “E’ vero che il giorno sapeva di sporco”. Riascoltando Disoccupate le strade dai sogni di Claudio Lolli
“L’esistenza di dio, o la sua assenza,
non mi è remota
abbiamo appuntamento tutti giorni
ora di pranzo, lui si materializza,
si transustanzia in un
campari soda”
“Scrive cose così, Claudio Lolli.
Le scrive con la penna disincantata del materialista dialettico. Le sparpaglia per libri, per canzoni, con parsimonia anche per voce. Le affida al vento, alla strada, a chi vuole mandarle a memoria, a chi vuole mandarle a memoria e poi dimenticarsene. A chi ha capito e a chi non interessa capire. Parla– scrive– dice– canta cose così, Claudio Lolli. In quanto poeta. Cantautore. Scrittore e, perché no, in quanto professore di liceo. In quanto leopardiano. Ma non nell’accezione abusata del pessimista marcio, che a Lolli va stretta come qualsiasi altra definizione. Leopardiano nel senso dello sguardo illuminista. Dello sguardo puntato sulle cose prime che sono anche le ultime. Dello sguardo lunghissimo e atroce, lo sguardo che non ha nulla da perdere in quanto ha già perso il cielo. Lo sguardo mite ma niente affatto remissivo con cui si sfidano i muscoli ipertrofici della vita. Del mondo”.
Il ’77 attraverso la lente di Claudio Lolli
Nel quarantennale dell’anno simbolo della stagione politica movimentista italiana, e in concomitanza con l’uscita dell’ultimo disco di Claudio Lolli Il grande freddo, un libro ripercorre la storia di Disoccupate le strade dai sognicon due interviste inedite
È vero che il giorno sapeva di sporco è il crocevia di tre storie: la storia di un disco, di un anno e di un cantautore. È la storia, raccontata quarant’anni dopo, di Disoccupate le strade dai sogni; è la storia del 1977 ed è anche la storia di Claudio Lolli.
Ciascuna di queste storie è a suo modo riferibile a un’epica minore, quella delle rivoluzioni sociali, musicali, autoriali sempre mancate per un soffio. Disoccupate le strade dai sogni canta la fine dello slancio movimentista e la repressione in chiave socialdemocratica che ne è scaturita.
E canta tutto questo nel ’77, anno che non ha bisogno presentazioni. Claudio Lolli che quel disco lo ha scritto e cantato e vissuto, è rimasto sempre e comunque a sé stesso: un po’ poeta maledetto, un po’ cronista della divergenza. Un po’ disincantato, un po’ sognatore recidivo.
In contemporanea con l’uscita del suo ultimo lavoro “Il grande freddo”, Claudio Lolli si racconta a Mario Bonannoin due interviste inedite (sulla genesi del disco, il contesto sociale in cui nasce e sulle vicende di Lolli), corredate da un commentario dei testi delle canzoni, da una rassegna stampa ragionata dell’epoca e dalle foto di Enzo Eric Toccaceli.
L’AUTORE
Mario Bonanno (Catania, 1964) ha scritto una ventina di libri sui cantautori italiani. Per Stampa Alternativa ha pubblicato: Che mi dici di Stefano Rosso? Fenomenologia di un cantautore rimosso; Rosso è il colore dell’amore. Intorno alle canzoni di Pierangelo Bertoli; Io se fossi Dio. L’apocalisse secondo Gaber; La musica è finita. Quello che resta della canzone d’autore.
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